Vittorio Caracuta - Ottobre 2012
ANTONIO GALLINA: ALLE RADICI DELLA PERCEZIONE
Quando l'Arte è linguaggio privilegiato, espressione autentica di ciò che si è, dentro, al di là del quotidiano affanno, allora non smette mai di ispirare, di fluire, di imporre le proprie forme. E' come un cuore che batte sempre, un fiore che non smette di fiorire, una fiamma che mai finisce di scaldare e di illuminare. E' melodia sottile, soffusa, profusa; colora di sé tutti i momenti della vita, qualsiasi cosa si faccia, anche quando le scelte obbligate sembrano allontanarci dalla sua ancestrale bellezza e ci assorbono nelle attività, le quali all'apparenza nulla hanno a che vedere con essa: la vena scorre invece nel profondo e non appena trovi strada prorompe e riconquista il pieno della vita e di un amore mai perduto e mai tradito. La storia artistica di Antonio Gallina è la storia di un talento puro e spontaneo, primigenio, immediato vivo e fluido, precoce nella sua prima epifania, radicale nel suo determinarsi, divenuto latente nel tempo aspro della professione e riesploso quando le circostanze e la vita finalmente lo hanno reso possibile. E' il caleidoscopio dell'esistenza che gira e agguaglia il prima e il dopo nel prisma del tempo, grazie alla gioia di creare e grazie alla felicità dell'espressione realizzata. Questa forza creatrice, per cui il soggetto mette il mondo tra parentesi e lo trascende nelle forme delle sue creazioni, questa forma privilegiata, con cui l'essere viene alla luce presso di noi, non ha mai trovato requie nell'intimo dell'artista, che mai vi ha rinunciato per davvero, seguendo dentro di sé un appuntamento indeterminato ed infine realizzato.
La guida di maestri sicuri e certi, già nell'adolescenza, seppe infondere forza visionaria all'opera di Antonio Gallina, contribuendo a volgerla in espressione affinata nella tecnica. L'avanguardismo, la giovanile febbre di sperimentazione e di ricerca che in quegli anni coinvolgevano tutto il mondo dell'arte, ed in genere della cultura, hanno lasciato poi un timbro inconfondibile nel suo stile, spingendolo alla scoperta di temi e di percorsi di sviluppo nuovi e personali, in cui derivare lo spirito dell'epoca.
Già nelle prime opere, immediatamente premiate, notiamo, infatti, la volontà esplicita di superare il dilem ma tra figurato e non figurato, tra formale ed informale, astratto e non astratto. Gli occhi dell'autore si dotano di una particolare capacità di scorrere, di scansionare la realtà a proprio modo, con la sete e la fame istintiva di colori e di cromie, di sensazioni colte e godute nel loro determinar si originario, prima ancora che permeate di significato complesso, ed appare l'immediato colorismo di masse percettive ed appercettive, che ne esprime tutta la pittura, nell'intensa radicalità delle campiture in sé assolutizzate, frazionate ed alternate a generare illusioni semigeometriche, insieme con le seduzioni ed i languori impressionistici. Ed appare anche il bene rivolto al proprio ambiente originale, alle radici della propria esistenza, trasmutate nelle sembianze care di un paesaggio amato che ridonda senza sosta sentimenti, consonandosi nell'intimo rifugio artistico dell'uomo e dell'autore. Ciò che è dentro è anche fuori e ciò che è fuori è anche dentro: il Paesaggio è divenuto l'espressione assoluta di quel che Antonio Gallina sente e sente di essere e tra i possibili paesaggi regna Asolo, con i famigliari, emozionali, elementi verdi, o architettonici ed artistici, connaturati, consustanziati nel più profondo dell'animo, giù nell'ultimo anello interiore. Il filo si dipana senza sosta, non sa placarsi e si ridetermina in nuove interpretazioni trasversali
e contigue nel tempo. Pochi artifici si alternano, ma senza regola apparente: la marcatura sporadica di alcune parti, una segnatura geometrica sovrapposta su alcune altre, oppure, raramente, la distinzione nelle gradazioni di colore delle tipologie di cose rappresentate. In genere, però, Antonio lascia fluire la sua vena nella mera libido coloristica, rifiutando la segnatura simbolica delle cose e privilegiando il loro libero trasporsi in masse di colori: come un paesaggio aereo visto dall'alto, verso il quale socchiudere gli occhi, fino a lasciar sormontare la cifra somatica delle percezioni, il loro presunto stadio aurorale, sgranando i dettagli della risoluzione, fino a farle coincidere con il loro valore emozionale. E' un alfabeto semantico scevro ed assoluto, che rifiuta costruzioni di senso complesso, ma nell'insistente radicalizzazione di questo
modulo creativo si affaccia comunque una qualche parte di labirinto interiore e si traduce una poetica identitaria, per la quale l'uomo dovrebbe abbandonare il caos d'artifici e di vite sintetiche, o liofilizzate, in cui si è assorbito, smarrendo sensibilità ed affetti, per riscoprire invece la gioia del proprio ambiente puro e la supremazia della tranquilla pace bucolica sulla schizofrenia tecnica e tecnicistica che rischia di annullarci. La verità, insomma, non sarebbe lontana, ma ravvisabile nell'intima corrispondenza tra dentro e fuori, che ci fa ancora una volta dire che non vi è paesaggio che non sia l'uomo stesso, il quale attraverso di esso si vede e si afferma, oppure, desolante, si nega. E' talmente radicata questa visione nell'autore, che egli non assegna mai titoli ai suoi quadri, perché rappresentano il suo flusso di coscienza continuo e
tramutato in forma d'Arte meglio che con qualsiasi parola e con gioia irrefrenabile. E così, alla fine, tutto è astratto: l'Arte oggettiva non esiste, nessuna delle cose dell'Arte è oggettiva-reale-noumenica, ma divenuta un'opera ai nostri occhi noumeno essa stessa, se sa, ci parla ed emoziona in modo peculiare; trasferisce parole ignote che nominiamo traducendole in sequenze di suoni fascinosi; fa delle nostre percezioni sogni fluidi ed appercettivi, collegandoci all'universo superiore dei significati umani. Perciò, quel che ci sentiamo di dire, oltre ciò che precede, è di porsi davanti alle opere di Antonio Gallina con occhi puri e ingenui, con l'animo disposto all'emozione, all'inizio senza particolari sovrastrutture ideologiche ed interpretative, per lasciarci cogliere innanzi tutto dalla vivacità e dalla genialità con cui l'artista riproduce davanti ai nostri occhi, con pochi e semplici tratti formali, combinati ai colori-masse, ai macropixel della sensibilità, gli stati aurorali della percezione e così godere della stessa gioia voyeuristica del colore, irriflessa ed immediata, e delle stesse seduzioni sentimentali ed affettive che hanno guidato la sua mano, quasi come per vivida scrittura automatica. Scaturiranno poi le riflessioni con i sensi ed i significati più complessi, i quali la capacità visionaria dell'autore è comunque in grado di evocare, e scopriremo allora che un messaggio possibile esiste, perfino di natura appercettiva ed evocativa, consustanziato com'è con l'essere profondo di ogni uomo e con l'essere caleidoscopico del tempo della vita.
Vittorio Caracuta - Ottobre 2012
Marcello Pirro - 23.07.2008
….così si dipanano questi paesaggi, calviniani, apparentemente semplici e complessissimi, pieni, bloccati. Entropici ed estropici e, nel tutto armonico del paesaggio, empatici.
Toni si rifà alla più nobile tradizione veneta del paesaggio e a Cadorin. Ma anche a Mondrian, come strumento di analisi, proprio per campiture piatte, matematiche: figurativo o non figurativo? E' per questo motivo che di fronte ai dipimti non si parla di astratto o figurativo per quel filo segreto che lega le campiture a una sorta di magia difficile da catalogare eppure così consoni a questa operazione linguistica ferace che è il suo paesaggio.
Del paesaggio grasso del basso Veneto non ha niente da spartire e ben non si capisce se sono letti dall'alto, quasi da foto aerofotogrammetriche, o sono solo paesaggi dell'anima.
E' il paesaggio della sua Asolo, sempre sempre lo stesso e diverso, sempre sempre più scarnificato fino a confondere la realtà dal sognato. Guardando i suoi dipinti si può dire qui abita quello, li quell'altro (lui lo può dire) da cartografo aggiornato e da pittore competente perchè lavorare sul paesaggio significa lavorare anche su sé stessi.
La sua pittura è piena di implicazioni letterarie. Citavo Calvino prima, quel suo modo lieve e pieno di delizie, profonde, e mi sfuggiva Kafka e la sua grevità. Ma la pittura di Toni Gallina è pittura colta? Si, senza dubbio.
Se è vero che la pittura si realizza dipingendo la sua èpittura nel senso più lato della parola.
Toni Gallina è anche pittore, e di qualità speciale.
Marcello Pirro - 23.07.2008
Stefano Cecchetto - Venezia, 6-10-2010
La consuetudine del paesaggio.
La consuetudine del paesaggio che si respira attraversando le dolci colline asolane per raggiungere lo studio di Antonio Gallina, è decisamente ricco di evocazioni pittoriche: dai morbidi segni ondulati di Gino Rossi e Gigi De Giudici, fino alla ricerca di un’introspezione più complessa che ritroviamo nel segno modernista di Armando Pizzinato.
Antonio Gallina riprende la strada interrotta della pittura dopo trent’anni, per rivedere e rivedersi, dentro a un paesaggio decisamente modificato: la scomposizione strutturale delle sue vedute rimanda ai cromatismi di una poetica che allarga i confini verso la dimensione geometrica di uno spazio che diventa palcoscenico.
Il paesaggio naturale è tutto certificato dentro a un linguaggio proteso a ritrovare le forme e i colori della natura stessa; le sue geometrie ‘imperfette’ permettono all’artista di superare lo scoglio di un realismo accademico e ritrovare la quiete e il conforto della natura dentro ai percettibili segni dell’esistenza quotidiana.
Antonio Gallina è consapevole che il paesaggio è radicalmente mutato, e con esso anche la sua raffigurazione estetica, ma se la responsabilità dell’artista è quella di farsi partecipe di una ricerca e di una sperimentazione mirata ad allargare i confini della coscienza, la sua precisa testimonianza a questo processo di evoluzione sembra costituire i poli di un radicalismo pittorico che tende all’origine, alle matrici prime (e ultime) del visibile.
Tutto si muove e cambia, la vita germina, cresce, muore e rinasce; di conseguenza, il luogo immobile della pittura non esiste; esiste semmai la conferma di un gesto che anela a conservare la memoria dentro al processo d’innovazione dell’esistenza; permane la percezione di un dono naturale che svela nella pittura, il candore e la gravità ingenua di una malinconica serenità.
Nei dipinti di Antonio Gallina lo spazio e il tempo sono simili a un fiume dove tutte le apparenze cambiano e si dissolvono, tutti i colori si trasformano l’uno nell’altro, tutte le forme si annullano, per rinascere – identiche – in una nuova figura.
È uno sguardo nitido il suo, un osservatorio che guarda al presente con una visione labirintica, dove gli accostamenti si fondono in maniera armonica e dove l’occhio si perde dentro al mistero della vita e delle cose. Il respiro dei suoi paesaggi è silenzioso, ma non silente; anzi il più delle volte è come una scossa, un colpo di vento impetuoso che muove e sconvolge le nostre certezze.
Stefano Cecchetto - Venezia, 6-10-2010